Per legge, i genitori sono tenuti al mantenimento dei figli sino a quando gli stessi non siano economicamente autonomi, non stabilendo il sistema giuridico italiano un limite d’età fisso dopo il quale tale obbligo viene meno.

E’ quindi d’evidenza che il concetto di indipendenza economica della prole gioca un ruolo fondamentale in questa valutazione.

In giurisprudenza è ormai consolidata la tesi per cui un figlio è considerato economicamente indipendente quando è in grado di sostenersi da solo finanziariamente, senza la necessità del supporto dei genitori. Ai fini di detta valutazione sono diversi i fattori che vanno necessariamente presi in considerazione, tra questi: il percorso educativo e formativo del figlio (Separazione/divorzio: obbligo al mantenimento dei figli), la sua condizione lavorativa e la capacità di reddito, nonché il suo stile di vita e impegno personale.

Fermo quanto sopra, tuttavia, esistono determinate situazioni nelle quali tale obbligo può cessare anche se questi non hanno ancora raggiunto l’indipendenza economica. Questo si verifica principalmente quando la mancata autonomia economica dei figli deriva da una sua inerzia colpevole o dal rifiuto ingiustificato di accettare opportunità lavorative adeguate alla sua formazione e competenze professionali.

Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione affermando che “il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Corte di Cass. 1 febbraio 2016, n. 1858).

In questi casi quindi il genitore obbligato al contributo al mantenimento (Mantenimento del figlio maggiorenne: se perde il lavoro, il genitore deve pagare nuovamente?) può esserne sollevato in virtù del fatto che la corresponsione non può essere garantita a chi, volontariamente, si sottrae allo svolgimento di un’attività lavorativa consona alle proprie qualifiche.