E’ pacifico che, ex art. 3, n. 2 lett. b), Legge 898/1970, il termine per proporre domanda di divorzio (6 o 12 mesi a seconda che si tratti di separazione consensuale ovvero giudiziale), decorre dall’udienza presidenziale nella quale è stato emesso il provvedimento di autorizzazione dei coniugi a vivere separati, anche se la sentenza di separazione o il decreto di omologa del Tribunale competente interviene in un momento successivo.

La legge ammette che una parte possa chiedere una sentenza di separazione parziale che verte esclusivamente sul proprio status di coniuge, proseguendo però la causa separativa in merito a tutte le altre condizioni relative alla prole e quelle econimiche. Una volta che il tribunale ha emesso la sentenza parziale il coniuge può quindi inizare la procedura di divorzio se è decorso il tempo necessario dalla prima udienza presidenziale. 

Che cosa succede, quindi, in caso vi sia una contemporanea pendenza di un procedimento di separazione ed uno di divorzio?

Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha affermato che, nel caso in cui sia stata emessa sentenza parziale, è rimessa al Tribunale la facoltà di valutare l’opportunità di una riunione di entrambi i procedimenti quando quello di separazione si trovi ancora in una fase non avanzata. 

La ragione è che, secondo la giurisprudenza, si è in presenza di cause connesse ex art. 274 c.p.c. .

Il giudice della separazione perde quindi la potestas decidendi non solo sulle domande concernenti la responsabilità genitoriale (ad esempio quelle riferite all’affidamento, al collocamento dei figli ecc.), ma anche su quelle economiche per il periodo successivo al deposito del ricorso per divorzio.