L’istituto richiama il concetto di “fidanzamento” e con la locuzione “promessa di matrimonio” si intende la dichiarazione bilaterale con cui gli sponsali si promettono vicendevolmente di diventare marito e moglie.

Questa può essere solenne (fatta per atto pubblico o per scrittura privata o risultate dalla richiesta della pubblicazione) oppure semplice (perfezionata senza particolari formalità e consistente in “una dichiarazione espressa o tacita, normalmente resa pubblica nell’ambito della parentela, delle amicizie e delle conoscenze, di volersi frequentare con il serio proposito di sposarsi, affinché ciascuno dei promessi possa acquisire la maturazione necessaria per celebrare responsabilmente il matrimonio”, come ha affermato la Cass. n. 3015/1983).

La promessa di matrimonio non è vincolante poiché il nostro ordinamento tutela la libertà matrimoniale più dell’affidamento che si crea tra i promittenti nei confronti del suo adempimento. Infatti non obbliga a contrarre matrimonio – stabilisce l’art. 79 del c.c. -, ma produce delle conseguenze giuridiche indennitarie.

L’amante deluso ha innanzitutto diritto alla restituzione dei doni fatti a causa del “fidanzamento”, (art. 80 c.c.); quanto all’eventuale risarcimento del danno, questo corrisponde alle spese e alle obbligazioni fatte e contratte a causa della promessa (art. 81 c.c.). 

Sono ad esempio risarcibili le spese di viaggio, di preparazione alla cerimonia nuziale, di acquisto di oggetti per l’arredo della casa o destinati a servire solo in occasione del matrimonio.

La domanda sia di restituzione dei doni che di risarcimento dei danni va avanzata entro un anno dal giorno in cui si è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio.