Nei casi in cui sorgano dubbi circa la paternità del figlio (ad esempio per presunto tradimento) nato indifferentemente in costanza di matrimonio piuttosto che da coppia convivente, lo Stato offre la possibilità di esperire l’azione di disconoscimento della paternità.

Tale azione giudiziaria ha proprio lo scopo di far accertare e dichiarare dal giudice che, tra un presunto padre biologico e un presunto figlio non sussiste, in realtà, alcun rapporto di filiazione.

Una volta intrapresa suddetta azione legale se, nel corso del giudizio, la madre o i nonni materni si costituiscono nel processo e si oppongono alla domanda di disconoscimento di paternità in maniera pretestuosa, diretta solo a procrastinare l’esito del processo, il giudice può decidere di condannare controparte (la madre) al pagamento non solo delle spese processali, ma anche di una somma ulteriore per resistenza colposa in giudizio.

Tale sanzione è giustificata dal fatto che il comportamento ostativo e non collaborante di chi, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si serve dello strumento processuale a fini dilatori o del tutto strumentali (aggravando, per giunta, il volume del contenzioso), secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 152/2016 della Corte costituzionale, arreca grave offesa al sitema giudiziario.

Alla stessa conclusione è giunto, successivamente, il Tribunale di Milano, con la sentenza del 26 aprile 2017, il quale ha condannato una madre per lite temeraria in quanto la stessa aveva assunto una condotta difensiva del tutto sterile, finalizzata ad allungare ulteriormente le tempisteche processuali.