Molto discusso è il tema del diritto dell’adottato, nato da parto anonimo, di conoscere le proprie origini biologiche. 

L’attuale legislazione (art. 28 co.7 L.n. 184/83 mod. D.lgs n. 196/2003) prevede che l’anonimato della madre sia protetto sino al decorso di 100 anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica.

Il problema si pone in riferimento alle ipotesi in cui il figlio adottato, il quale avrebbe diritto di accedere alle informazioni riguardanti i propri genitori biologici al compimento dei 25 anni, non potrebbe comunque accedere alle informazioni relative alla madre biologica che abbia dichiarato alla nascita di voler restare anonima. 

La normativa è stata infatti sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza n. 278 del 18/11/2013 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui vieta all’adottato di conoscere le proprie origini biologiche senza aver preventivamente verificato se persista o meno la volontà della madre di restare anonima.

Pertanto, bisogna sempre considerare la possibilità di interpellare la madre al fine di verificare se permanga o meno la scelta dell’anonimato, scelta che può essere sempre oggetto di revoca da parte dell’interessata.

Il diritto all’anonimato infatti trova ragione nella protezione che si intende garantire alla scelta compiuta dalla madre per le conseguenze sociali e in generale negative che la stessa potrebbe subire.

Tale principio si scontra però con quanto affermato in molti testi anche della legislazione sovranazionale, tra cui la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite in materia di diritti dei minori, che affermano il diritto del minore a conoscere, nella misura del possibile, i propri genitori sin dalla sua nascita. 

Proprio per queste ragioni la tutela dell’anonimato deve essere contemperata con il diritto del figlio di conoscere le proprie origini biologiche.

Pertanto, alla morte della madre biologica, il diritto all’anonimato verrebbe a scomparire o comunque verrebbero ad affievolirsi quelle ragioni di tutela che impedirebbero al figlio di conoscere le proprie origini.

Alla luce anche della pronuncia di illegittimità costituzionale, si deve quindi ritenere che non possa operare, oltre il limite della vita della madre, il termine di 100 anni previsto dalla normativa nazionale, in quanto ciò violerebbe il diritto del figlio adottato di procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto.

In conclusione il diritto dell’adottato, nato da una donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, di accedere alle informazioni riguardanti la propria origine e l’identità della madre biologica, può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto.