Il nostro codice civile, all’art. 336 bis, disciplina l’ascolto del minore nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano.

Questo diritto dei figli è stato riconosciuto primariamente dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 (e ratificata dall’Italia con la l. n. 176/1991), che ne sottolinea la necessità e l’importanza.

Viene previsto che il minore abbia il diritto ad esprimere liberamente la sua opinione sulle questioni che lo interessino, potendo essere ascoltato direttamente o tramite un rappresentante legale. L’ascolto non costituisce un mezzo di prova – infatti il minore non va interrogato e non può assumere la veste di testimone – ma è strumento con il quale il minore può esprimere le sue opinioni e di far emergere le sue volontà. Il tutto affinché il giudice possa prendere le decisioni nel suo primario interesse, che spesso si contrappone a quello dei genitori.

Infatti assicurare il diritto all’ascolto è importante per poter capire i bisogni del minore rispetto alla vicenda in cui è coinvolto, che principalmente riguarda l’affidamento e il diritto di visita dei genitori in procedimenti di separazione o divorzio. Vicende queste che producono conseguenze negative per i figli, che si trovano loro malgrado in mezzo al conflitto dei genitori, spesso aspro e doloroso.

La norma parla di minore che abbia compiuto dodici anni o, se di età inferiore, dotato di “capacità di discernimento”. Questa espressione non viene definita e rende necessaria una valutazione caso per caso; si ritiene che si tratti di capacità di saper scegliere, di operare valutazioni autonome e di comprendere cosa sia utile per se stessi.

Ascoltare il minore è un adempimento da effettuarsi a pena di nullità, a meno che il giudice non ritenga l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore; è necessaria in tali casi specifica motivazione.